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DSC_2459Nature Morenti: dai ritratti delle cose, all’esperienza della loro natura.


Nel 2013, Paolo Minioni, in occasione della sua personale dal titolo Unica, espose presso la mia galleria ABF-Scatola Chiara 6 fotografie di una mela riprese con modalità stenopeica su medium polaroid 600; Minioni ci porgeva detta mela da lui seguita in differenti sessioni di still-life finalizzate a mostrarne la decomposizione. Se nella citata sequenza fotografica di Minioni la mela, attraverso un’operazione concettuale, marciva iconograficamente sotto ai nostri occhi, con l’installazione Nature Morenti l’autore si spinge oltre al confine della visione e condivide con noi non solo fotograficamente la deperibilità organica di prodotti alimentari, tramite un trittico posto in auliche e decadenti cornici ma anche offrendoceli fisicamente mediante la loro reale collocazione su di un tavolo posto al piede delle tre immagini/ icona, sul quale piano d’appoggio risiedono gli alimenti precedentemente fotografati, con la loro vita fisica, chimica e biologica, il loro naturale processo di trasformazione e di decomposizione. Nell’ordine da sinistra a destra troviamo: un cotechino, un cavolfiore, una bottiglia contenente dell’aceto. Nelle immagini in bella mostra degli alimenti, fotografati già in fase di decomposizione, così sconfinanti nella nostra reale esistenza, partecipiamo ad un rito, al prologo di una messa che avrebbe da venire e che non avverrà, se non per la sfera visiva ed olfattiva: siamo spettatori del divenire di cariche batteriche e micetiche, della deperibilità organica scrutata dall’obbiettivo, della decomposizione in diretta, progressiva e inesorabile, degli attori della nostra messa.Se nel caso della sequenza della mela, in Unica, la tavolozza colori delle immagini stenopeiche era calda, bassa, degna della miglior tradizione pittorica del genere natura morta, in Nature Morenti Minioni introduce un elemento stilistico di grande impatto dal punto di vista visivo e utile alla riflessione sul piano culturale, il fondo è un limbo quasi bianco, quasi privo di ombre portate e su di esso galleggiano i nostri tre protagonisti: il cotechino, il cavolfiore e la bottiglia d’aceto.Il fondo bianco dello still-life è un campo asettico sul quale inesorabilmente la vita continua, mentre siamo bersagliati da un immaginario che coniuga food, asetticità, igiene e glamour, piatti bianchi nettati e sterili, prodotti alimentari sottoposti a normative d’igiene che ne condizionano la storia, l’aspetto e il sapore.Con Paolo Minioni e la sua installazione Nature Morenti, possiamo fermarci un momento per indagare il senso della vita, ricordarci che siamo quel che mangiamo, riflettere sul fatto che anche noi siamo biodegradabili e a tempo, possiamo ben conservarci, essere salutisti, igienisti, bulimici o anoressici, ascetici o buon gustai ma tutto invecchia ed è deteriorabile, come le nostre cellule e come ciò che assumiamo per tenerci in vita, per ricordarci che polvere siamo e polvere ritorneremo. Meditare sul nulla, sul tutto e sul circolo misterioso della vita, fra corsi e ricorsi, catarsi e metamorfosi e prosaicamente pensare anche a noi. Oppure indifferentemente alleggerirci e dare meno importanza a noi stessi, vivere e non pensarci affatto.
Potrei concludere citando il padre della chimica Antoine Laurent de Lavoisier e il suo principio sulla conservazione della massa nelle reazioni chimiche: “Nulla non si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma”. Potrei finire sconfinando e citando il noto aforisma di Marco Aurelio “Nulla viene dal nulla, come nulla ritorna nel nulla”.

Daniela Giordi

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Se guardiamo l’installazione Nature Morenti di Paolo Minioni capiamo immediatamente quello che Roland Barthes scriveva ne “La camera chiara”: “ciò che la foto riproduce all’infinito ha avuto luogo una sola volta”.
E’ proprio quello che Minioni mette in atto, il fermare il tempo e ripeterlo potenzialmente all’infinito, conscio però che quel tempo che ha fermato sulla carta sensibile in realtà continua inesorabilmente a scorrere, a intaccare la materia e a modificarla, consapevole che gli elementi che compongono la natura morta dell’installazione non sono identici a se stessi. Già a partire dal secondo sguardo che il visitatore gli concede l’aceto sta aumentando il fondo residuale, le cime del cavolfiore hanno una carnosità meno turgida, il salame è un po’ più rancido. Il tavolo in legno sembra lo stesso, non lo è, una tarma ne ha mangiato un piccolo pezzo, proprio sotto ai nostri occhi.

La scelta di allestire le fotografie appena sopra agli oggetti reali assume una forte simbologia, sembra quasi un’ ”ascensione” laica, una trasmutazione atipica, non è la forma infatti a cambiare ma la sostanza. Le cornici, così poco contemporanee, aiutano in questo processo di “beatificazione” della fotografia, in questo passaggio da tempo reale a tempo sospeso, creando una sorta di filtro tra l’opera e l’osservatore, portato per un motivo sconosciuto a guardarle con una sorta di timore reverenziale.

Minioni riflette sul lavoro di Joseph Kosuth, riferimento imprescindibile della conceptual art americana, che sente vicino all’idea per cui l’oggetto presenta se stesso, nello stesso modo in cui l’arte presenta se stessa. Le Nature Morenti di Minioni ci portano a One and Three Chairs (1965) di Kosuth, in entrambi i lavori c’è una riflessione sul concetto di “forma”, intesa in senso aristotelico, quella forma che rende possibile l’esistenza della sostanza e per cui “di ogni cosa si può parlare in quanto ha una forma e non per il suo aspetto materiale”.

Altra tematica cara alla ricerca artistica di Minioni è quella del tempo, affrontata anche con Still Life, una serie del 2005 dedicata al dualismo vita/morte, così come la serie “Vasi” del 2001 gioca sulla dicotomia pieno/vuoto. Il fiore, la rosa “fresca aulentissima” di Cielo d’Alcamo, è un topos arcaico, un ciclo perpetuo, nell’arte, nella poesia, al punto tale che se noi il fiore lo togliessimo, lasciassimo solo i vasi vuoti, ecco, il fiore lo vedremmo comunque. Se lo vedessimo appassito, secco, da erbario, per una frazione di secondo la nostra mente ce lo mostrerebbe in piena fioritura, con colori saturi, ne sentiremmo quasi la fragranza. Questo quello che succede di fronte alla sequenza fotografica dell’artista, che acquista forza dalla sottrazione, dal bianco e nero, dalla narrazione solo apparentemente interrotta ma che in realtà ha nella fine un punto di inizio, come un eterno divenire.
Il suo è un lavoro discreto, la stessa discrezione che ha Paolo quando ti parla, elegante, come le sue camicie floreali. Ogni artista ha nel suo essere inevitabili tratti che riporta nelle opere, a volte leggerli non è troppo difficile.

Francesca Gattoni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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